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Somma Teologica, Parte I, Questione 29
LE PERSONE DIVINE
Premesso quanto era necessario sapere sulle processioni e sulle relazioni, dobbiamo affrontare lo studio delle Persone [cf. q. 27, Prol.]. E in primo luogo le considereremo in se stesse, quindi nei loro rapporti [q. 39]. Ora, le Persone in se stesse bisogna considerarle innanzi tutto in generale, poi singolarmente [q. 33]. E nella considerazione generale delle Persone sembra che rientrino questi quattro temi: primo, il significato del nome persona; secondo, il numero delle Persone [q. 30]; terzo, le conseguenze del numero delle Persone, e cioè l’opposizione, la diversità, la somiglianza e simili [q. 31]; quarto, la nostra conoscenza delle Persone divine [q. 32].
Sul primo tema si pongono quattro quesiti:
1. Come si definisca la persona;
2. Quali rapporti essa abbia con l’essenza, con la sussistenza e con l’ipostasi;
3. Se il termine persona si possa attribuire a Dio;
4. Che cosa significhi attribuito a Dio.
Sembra che la definizione della persona data da Boezio [De duab. nat. 3], cioè «la persona è una sostanza individuale di natura razionale», non sia accettabile. Infatti:
1. I singolari non si definiscono. Ora, persona significa qualcosa di singolare. Quindi è fuori luogo definire la persona.
2. Sostanza, che fa parte della definizione di persona, o sta per sostanza prima o sta per sostanza seconda. Se sta per sostanza prima l’aggiunta di individuale è superflua: essendo appunto la sostanza prima quella individuale. Se invece sta per sostanza seconda, allora l’aggiunta è falsa, per l’opposizione che c’è tra il sostantivo e l’aggettivo, essendo sostanze seconde i generi e le specie. È dunque una definizione male assegnata.
3. Nella definizione di una cosa reale non si devono mettere nomi di [seconda] intenzione. Non sarebbe infatti bene dire che l’uomo è una specie dell’animale, essendo uomo un nome di realtà, e specie un nome di [seconda] intenzione. Quindi, siccome persona è un nome di realtà (poiché significa una sostanza di natura razionale), nella sua definizione non è usato a proposito il termine individuale, che è un nome di [seconda] intenzione.
4. La natura, come dice Aristotele [Phys. 2, 1], «è un principio di moto e di quiete nel soggetto in cui si trova non accidentalmente, ma per se stessa». Ma la persona si trova anche in soggetti del tutto immobili, come in Dio e negli angeli. Quindi nella definizione di persona non si doveva mettere natura, ma piuttosto essenza.
5. L’anima separata è una sostanza individuale di natura razionale. E tuttavia non è una persona. Quindi la persona è stata male definita da Boezio.
Rispondo: Sebbene l’universale e il particolare si trovino in tutti i generi [o predicamenti], tuttavia l’individuo si ha specialmente nel genere della sostanza. Infatti la sostanza è individuata da se stessa, mentre l’accidente è individuato dal suo soggetto, che è la sostanza: la bianchezza infatti è questa qui [e non un’altra] perché è in questo soggetto. Quindi gli individui sostanziali, a preferenza degli altri, hanno un nome proprio, e sono detti ipostasi o sostanze prime.
L’individuo particolare poi si trova in un modo ancora più speciale e più perfetto nelle sostanze razionali, che hanno il dominio dei propri atti e che si muovono da se stesse, non già spinte dall’esterno come gli altri esseri; e le azioni d’altra parte si verificano proprio nelle realtà particolari. Quindi, fra tutte le altre sostanze, gli individui di natura razionale hanno un nome speciale. E questo nome è persona. Nella suddetta definizione dunque si mette sostanza individuale per significare il singolare nel genere della sostanza, e si aggiunge di natura razionale per indicare il singolare nelle sostanze razionali.
Soluzione delle difficoltà:
1. Sebbene non si possa definire questo o quel singolare determinato, si può però benissimo definire lo stato di singolarità: e così Aristotele definisce la sostanza prima [Praed. 3]. E nella stessa maniera Boezio definisce la persona.
2. Secondo alcuni, la sostanza posta nella definizione della persona sta per la sostanza prima che è l’ipostasi. Né è superflua [a loro giudizio] l’aggiunta di individuale. Poiché con il nome di ipostasi o di sostanza prima si vuole escludere lo stato di universalità e la condizione di parte (poiché l’uomo in genere non lo diciamo un’ipostasi, e neppure diciamo che lo sia una mano, essendo essa una parte), mentre con l’aggiunta di individuale si esclude dalla persona la ragione di assumibilità: poiché la natura umana in Cristo non è persona, essendo stata assunta da un soggetto più nobile, cioè dal Verbo di Dio. — Però è meglio dire che sostanza è presa in generale, come ancora divisibile in prima e seconda, e quindi con l’aggiunta di individuale si viene a indicare la sostanza prima.
3. Siccome le differenze sostanziali non ci sono note o non hanno nome, qualche volta siamo costretti a usare in loro vece differenze accidentali, come quando si dice che il fuoco è un corpo semplice, caldo e secco: poiché gli accidenti propri sono gli effetti e la manifestazione delle forme sostanziali. E allo stesso modo si possono usare i nomi di [seconda] intenzione per definire le cose, in quanto essi fanno le veci dei nomi mancanti. Ed è per questo che il termine individuale viene posto nella definizione della persona, per indicare cioè il modo di esistere che conviene alle sostanze particolari.
4. Come dice il Filosofo [Met. 5, 4], il nome natura in origine fu usato per indicare la generazione dei viventi, che viene detta nascita. E siccome questa generazione procede da un principio intrinseco, tale nome fu esteso a indicare il principio intrinseco di qualsiasi moto. E così Aristotele [Phys. 2, 1] definisce la natura. Siccome poi questo principio può essere formale o materiale, comunemente tanto la forma quanto la materia si dicono natura. Essendo poi la forma il principio perfettivo dell’essenza di qualsiasi cosa, questa essenza, espressa dalla definizione, è detta comunemente anch’essa natura. E in questo senso è qui usata. Per cui Boezio [De duab. nat. 1] dice che «la natura è la differenza specifica costitutiva di ciascuna cosa»: infatti la differenza specifica è quella che completa la definizione e viene desunta dalla forma propria della cosa. Quindi era più conveniente che nella definizione di persona, che è un singolare di un certo genere determinato, si usasse il nome di natura anziché quello di essenza, poiché quest’ultimo nome è desunto dall’essere, che è la realtà più comune.
5. L’anima è soltanto una parte dell’uomo: e come tale, anche separata, dal momento che ritiene la capacità di riunirsi [al corpo] non può essere detta sostanza individuale come l’ipostasi o la sostanza prima; e così è della mano e di qualsiasi altra parte dell’uomo. Quindi non le conviene né la definizione né il nome di persona.
Articolo 2
Se persona sia la stessa cosa che ipostasi, sussistenza ed essenza
Sembra che persona sia la stessa cosa che ipostasi, sussistenza ed essenza. Infatti:
1. Boezio [De duab. nat. 3] dice che «i Greci chiamarono ipostasi la sostanza individuale di natura razionale». Ma per noi anche il termine persona ha questo significato. Quindi la persona è lo stesso che l’ipostasi.
2. Come diciamo che in Dio ci sono tre persone, così diciamo che ci sono tre sussistenze; ma non sarebbe così se persona e sussistenza non significassero la stessa cosa. Quindi persona e sussistenza significano la stessa cosa.
3. Boezio [In Cat. Arist., De subst.] dice che usìa, equivalente a essenza, significa il composto di materia e forma. Ora, ciò che è composto di materia e forma è l’individuo [del genere] sostanza, che è detto ipostasi o persona. Quindi sembra che tutti questi nomi significhino la stessa cosa.
In contrario:
1. Boezio afferma [De duab. nat. 3] : «I generi e le specie sussistono soltanto, mentre gli individui non soltanto sussistono, ma anche sottostanno [in funzione di suppositi]». Ma da sussistere sono detti sussistenze, come da sottostare sostanze o ipostasi. Siccome dunque essere ipostasi o persona non conviene ai generi e alle specie, l’ipostasi e la persona non si identificano con la sussistenza.
2. Inoltre Boezio [In Cat. Arist., De subst.] dice che l’ipostasi è la materia, la usìosis invece, cioè la sussistenza, la forma. Ora, né la materia né la forma possono dirsi persona. La persona perciò differisce dall’ipostasi e dalla sussistenza.
Rispondo: Secondo il Filosofo [Met. 5, 8], il termine sostanza può essere preso in due sensi. Primo, si dice sostanza la quiddità di una cosa espressa dalla definizione, come diciamo che la definizione esprime la sostanza della cosa: e questa sostanza, che i Greci dicono usìa, noi possiamo chiamarla essenza. — Secondo, si dice sostanza il soggetto o supposito che sussiste nel genere [o predicamento] della sostanza. E questa, presa in generale, può essere indicata con un nome che ne esprime la funzione logica, e allora viene detta soggetto o supposito. La si designa poi anche con tre nomi che esprimono la realtà [concreta], e cioè res naturae, sussistenza e ipostasi, secondo tre diversi aspetti della sostanza presa in quest’ultimo senso. In quanto cioè esiste in se stessa e non in un altro [soggetto] è detta sussistenza: infatti diciamo sussistenti quelle cose che sussistono in sé e non in altro. In quanto invece fa da supposito a una natura presa nella sua universalità è detta res naturae: come quest’uomo è una res naturae della natura umana. In quanto infine fa da supposito agli accidenti prende il nome di ipostasi o sostanza. Quello poi che questi tre nomi significano universalmente per tutti i generi di sostanze, il termine persona lo significa nel genere delle sostanze razionali.
Soluzione delle difficoltà:
1. Per i Greci ipostasi, secondo il significato proprio della parola, indica l’individuo di qualsiasi sostanza, ma secondo l’uso indica solo l’individuo di natura razionale, attesa l’eccellenza di questa natura.
2. Come noi diciamo al plurale che in Dio vi sono tre persone e tre sussistenze, così i Greci dicono che vi sono tre ipostasi. Però siccome il nome di sostanza, che propriamente corrisponde a ipostasi, per noi è equivoco, dato che alcune volte significa l’essenza e altre volte l’ipostasi, per evitare il pericolo di errore si è preferito tradurre ipostasi col termine sussistenza, anziché con quello di sostanza.
3. L’essenza, propriamente, è ciò che viene espresso dalla definizione. Ora, la definizione comprende i princìpi specifici, e non quelli individuali. Quindi nelle cose composte di materia e di forma l’essenza non significa né la sola forma né la sola materia, ma il composto di materia e di forma comuni, in quanto sono princìpi della specie. Invece il composto formato di questa materia e di questa forma ha natura di ipostasi e di persona. Infatti l’anima, la carne e le ossa appartengono alla struttura dell’uomo, mentre questa anima, questa carne e queste ossa appartengono alla struttura [propria] di questo uomo. Perciò l’ipostasi e la persona aggiungono all’essenza i principi individuali; e nei composti di materia e di forma non coincidono con l’essenza, come si è già detto sopra [q. 3, a. 3] parlando della semplicità divina.
4. Boezio dice che i generi e le specie sussistono in quanto il sussistere appartiene ad alcuni individui per il fatto che sono racchiusi in generi o specie del predicamento sostanza, non già nel senso che sussistano le specie o i generi, a meno che non [si parli] secondo l’opinione di Platone [Phaed. 48 s.], il quale riteneva le specie delle cose come sussistenti, indipendentemente dai singolari. Sottostare [in funzione di supposito] appartiene invece a questi medesimi
individui in ordine agli accidenti, che sono fuori delle specie e dei generi.
5. L’individuo composto di materia e di forma ha dalla materia la proprietà di sottostare agli accidenti, per cui Boezio [De Trin. 2] afferma: «Una forma semplice non può essere soggetto». Ma il sussistere di per sé [un individuo] lo ha dalla sua forma, che non sopravviene a una realtà già sussistente, ma dà l’essere attuale alla materia, in modo che l’individuo possa così sussistere. Egli quindi attribuisce l’ipostasi alla materia e l’usìosis o sussistenza alla forma per il fatto che la materia è il principio del sottostare [in funzione di supposito], e la forma è il principio del sussistere.
Articolo 3
Se a Dio si possa attribuire il nome di persona
Sembra che, parlando di Dio, non si debba usare il nome di persona. Infatti: 1. Dionigi [De div. nom. 1, 1] scrive: «Circa la sovrasostanziale e occulta divinità non si deve assolutamente aver l’ardire di dire o di pensare se non ciò che è contenuto nella parola divina». Ora, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento non si trova mai usato il termine persona. Quindi quando si parla della divinità non si deve usare il nome persona. 2. Boezio [De duab. nat. 3] dice: «Il nome di persona sembra che abbia avuto origine da quelle maschere con le quali nelle commedia e nelle tragedie si rappresentavano alcuni personaggi: persona infatti è detta da personare [risonare, rimbombare, suonare forte]: poiché per la stessa concavità [della maschera] il suono risulta rafforzato. E i Greci queste maschere [o persone] le dicono pròsopa, dato che poste in faccia, davanti al viso, nascondono il volto». Ma tutto ciò non può convenire a Dio se non in senso metaforico. Quindi il termine persona non può essere attribuito a Dio se non per metafora. 3. Ogni persona è anche ipostasi. Ma non pare che il nome di ipostasi convenga a Dio: infatti esso, secondo Boezio [l. cit.], significa ciò che sta sotto gli accidenti, che in Dio non si danno. E anche S. Girolamo [Epist. 15 ad Dam.] dice che nel nome di ipostasi «sta nascosto il veleno sotto il miele». Quindi il nome persona non va attribuito a Dio. 4. A chi non conviene la definizione non conviene neppure la realtà definita. Ma la definizione di persona sopra [a. 1] riferita non sembra convenire a Dio. Sia perché la razionalità comporta una conoscenza discorsiva, che a Dio non compete, come si è detto sopra [q. 14, a. 7], e così Dio non può dirsi di natura razionale, sia anche perché Dio non può dirsi sostanza individuale: infatti il principio di individuazione è la materia, mentre Dio è immateriale; e non sottostà neppure agli accidenti, come invece dovrebbe per potersi dire sostanza. Quindi a Dio non si può attribuire il nome di persona.
In contrario: Nel Simbolo di S. Atanasio è detto: «Altra è la persona del Padre, altra quella del Figlio, altra quella dello Spirito Santo».
Rispondo: La persona significa quanto di più nobile si trova in tutto l’universo, cioè il sussistente di natura razionale. Per questo, dovendosi attribuire a Dio tutto ciò che comporta perfezione, dato che nella sua essenza egli contiene tutte le perfezioni, è conveniente che gli venga attribuito anche il nome di persona. Tuttavia non nel modo in cui viene attribuito alle creature, ma in maniera più eccellente, come si fa con gli altri nomi da noi imposti alle creature e applicati a Dio: secondo quanto si è dimostrato sopra [q. 13, a. 3] parlando dei nomi di Dio.
Soluzione delle difficoltà:
1. Sebbene nei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento non sia applicato a Dio il nome persona, tuttavia ciò che è indicato da quel nome vi è affermato di Dio in molte maniere: cioè che egli è ente per sé in grado sommo e perfettissimamente intelligente. Se poi, nel parlare di Dio, non si potessero usare se non quelle parole che sono usate dalla Scrittura, ne verrebbe che nessuno potrebbe parlare di lui in una lingua diversa da quella in cui originariamente furono tramandati i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento. Invece la necessità di disputare con gli eretici spinse a trovare nuovi vocaboli espressivi dell’antica fede. E non c’è motivo di rifuggire da questa novità, poiché non è una cosa profana, dal momento che non discorda dal senso della Scrittura: ora, S. Paolo [1 Tm 6, 20] vuole che si evitino le «novità profane».
2. Quantunque, se si bada alla sua etimologia, il nome persona non convenga a Dio, tuttavia gli conviene, e in grado sommo, se si considera il suo significato. Siccome infatti nelle commedie e nelle tragedie si rappresentavano personaggi famosi, il nome persona fu imposto per significare soggetti costituiti in dignità. Di qui venne l’uso della Chiesa di chiamare persone quelli che rivestivano una qualche carica. Per questo alcuni definiscono la persona come «un’ipostasi contrassegnata da una qualifica connessa con una dignità». E siccome è una grande dignità sussistere come soggetto di natura razionale, perciò, come si è detto [a. 1], ogni individuo di tale natura fu chiamato persona. Ma la dignità della natura divina eccede qualsiasi dignità: perciò a Dio massimamente conviene il nome persona.
3. Se si bada all’origine del nome, ipostasi non conviene a Dio, non sottostando egli ad alcun accidente; però gli conviene quanto al suo significato di realtà sussistente. — S. Girolamo poi dice che sotto quel nome sta il veleno perché, prima che fosse pienamente noto ai latini il suo significato, gli eretici con quel nome ingannavano i semplici inducendoli ad ammettere in Dio più essenze, come ammettevano più ipostasi, dato che il nome di sostanza, a cui in greco corrisponde ipostasi, presso di noi comunemente sta per essenza.
4. Si può dire che Dio è di natura razionale in quanto la ragione, presa in senso generico, significa una natura intellettuale, e non in quanto implica un processo discorsivo. A Dio poi non può convenire di essere individuo nel senso che il principio della sua individuazione sia la materia, ma solo in quanto [individuo] indica incomunicabilità. Essere poi sostanza conviene a Dio in quanto essa dice esistere per sé. — Alcuni tuttavia affermano che la surriferita definizione di persona, data da Boezio, non è la definizione della persona che viene ammessa in Dio. Per cui Riccardo di S. Vittore [De Trin. 4, 22], volendo correggere questa definizione, disse che la persona, in quanto attribuita a Dio, è «un’esistenza incomunicabile di natura divina».
Articolo 4
Se il termine persona significhi una relazione
Sembra che il termine persona non significhi in Dio una relazione, ma la sostanza. Infatti:
1. S. Agostino [De Trin. 7, 6] afferma: «Quando diciamo: “la persona del Padre” non diciamo altro che: “la sostanza del Padre”, poiché egli è detto persona in ordine a se stesso, e non in ordine al Figlio».
2. [Quando si domanda] il quid si ricerca l’essenza. Ma come dice S. Agostino nello stesso libro [cc. 4, 6; cf. 5, 9], quando si dice: «Sono tre che fanno testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo», e si chiede: «Tre che cosa?» si risponde: «Tre persone». Quindi il termine persona significa l’essenza.
3. Secondo il Filosofo [Met. 4, 7], il nome significa la definizione della cosa da esso designata; ma la definizione di persona è «sostanza individuale di natura razionale», come si è detto [a. 1]. Quindi il nome persona significa la sostanza.
4. Sia negli uomini che negli angeli la persona non significa una relazione, ma qualcosa di assoluto. Se dunque in Dio significasse una relazione, si applicherebbe equivocamente a Dio, agli angeli e agli uomini.
In contrario: Boezio [De Trin. 6] afferma che ogni nome appartenente alle persone significa una relazione. Ma nessun nome appartiene alla persona più che lo stesso nome di persona: esso perciò significa una relazione.
Rispondo: Circa il significato del nome persona applicato a Dio può portare difficoltà il fatto che, contro la natura dei nomi assoluti, si dica al plurale delle tre persone; e d’altra parte non è un nome che esprima un rapporto, come i nomi relativi. Quindi ad alcuni parve che il nome persona, semplicemente in forza della parola, in Dio significasse l’essenza, come il nome Dio e il nome sapiente, ma poi, in seguito alle difficoltà degli eretici, per decisione di un Concilio, sarebbe stato adattato a prendere il posto dei relativi: e specialmente se usato al plurale o col partitivo, come quando diciamo tre persone, oppure altra è la persona del Padre, altra quella del Figlio. Nel singolare invece può stare tanto per l’assoluto quanto per il relativo. — Però questa non pare una spiegazione sufficiente. Perché se in Dio persona, in forza del suo significato, non indica altro che l’essenza, dicendo che in Dio vi sono tre persone si sarebbe data agli eretici l’occasione per una calunnia ancora più grave, invece di rigettare la loro accusa.
Per questo altri sostennero che persona significa simultaneamente l’essenza e la relazione. E alcuni di costoro affermarono che direttamente significa l’essenza e solo indirettamente [in caso obliquo] la relazione. Poiché persona deriva da per se una: ora, l’unità si riferisce all’essenza, e d’altra parte il per se indica la relazione indirettamente [in caso obliquo]: infatti il Padre viene concepito come sussistente di per sé in quanto distinto dal Figlio mediante la relazione. Altri invece affermarono il contrario: che cioè la persona significa direttamente la relazione, e solo indirettamente l’essenza, poiché nella definizione di persona la natura è posta in caso obliquo; e questi si avvicinarono di più al vero. Per chiarire dunque la questione bisogna notare che si può dare un elemento che rientra nel significato di un termine meno universale senza che rientri nel significato di un termine più universale: come razionale è incluso nel significato di uomo, ma non rientra nel significato di animale. Perciò una cosa è cercare il significato di animale e altra cosa è cercare il significato di quell’animale che è l’uomo. E così pure altro è cercare il significato del termine persona in generale, e altro è cercare il significato del termine persona divina. La persona in generale infatti, come si è detto [a. 1], significa una sostanza individuale di natura razionale. L’individuo poi è ciò che è indistinto in se stesso e distinto dagli altri. La persona dunque, in qualsiasi natura, significa ciò che è distinto in quella natura: come nella natura umana significa questa carne, queste ossa, questa anima, che sono i princìpi individuanti l’uomo; le quali cose, pur non facendo parte del significato di persona, tuttavia fanno parte di quello di persona umana. Ora, come si è detto [q. 28, a. 3], la distinzione in Dio non avviene se non per le relazioni di origine.
Per questo altri sostennero che persona significa simultaneamente l’essenza e la relazione. E alcuni di costoro affermarono che direttamente significa l’essenza e solo indirettamente [in caso obliquo] la relazione. Poiché persona deriva da per se una: ora, l’unità si riferisce all’essenza, e d’altra parte il per se indica la relazione indirettamente [in caso obliquo]: infatti il Padre viene concepito come sussistente di per sé in quanto distinto dal Figlio mediante la relazione. Altri invece affermarono il contrario: che cioè la persona significa direttamente la relazione, e solo indirettamente l’essenza, poiché nella definizione di persona la natura è posta in caso obliquo; e questi si avvicinarono di più al vero. Per chiarire dunque la questione bisogna notare che si può dare un elemento che rientra nel significato di un termine meno universale senza che rientri nel significato di un termine più universale: come razionale è incluso nel significato di uomo, ma non rientra nel significato di animale. Perciò una cosa è cercare il significato di animale e altra cosa è cercare il significato di quell’animale che è l’uomo. E così pure altro è cercare il significato del termine persona in generale, e altro è cercare il significato del termine persona divina. La persona in generale infatti, come si è detto [a. 1], significa una sostanza individuale di natura razionale. L’individuo poi è ciò che è indistinto in se stesso e distinto dagli altri. La persona dunque, in qualsiasi natura, significa ciò che è distinto in quella natura: come nella natura umana significa questa carne, queste ossa, questa anima, che sono i princìpi individuanti l’uomo; le quali cose, pur non facendo parte del significato di persona, tuttavia fanno parte di quello di persona umana. Ora, come si è detto [q. 28, a. 3], la distinzione in Dio non avviene se non per le relazioni di origine. E tali relazioni in Dio non sono come accidenti inerenti al soggetto, ma sono la stessa essenza divina: perciò esse sono sussistenti come sussiste l’essenza divina. Come dunque la divinità è Dio, così la paternità divina è Dio Padre, il quale è una persona divina. Perciò la persona divina significa la relazione come sussistente. E ciò equivale a significare la relazione a modo di sostanza, cioè di ipostasi sussistente nella natura divina; benché ciò che sussiste nella natura divina non sia altro che la stessa natura divina. Stando dunque a queste premesse è vero che il nome persona significa direttamente la relazione e solo indirettamente l’essenza: non però la relazione in quanto relazione, ma in quanto significata come ipostasi. — Parimenti significa pure direttamente l’essenza e indirettamente la relazione: in quanto l’essenza si identifica con l’ipostasi; ma l’ipostasi in Dio viene significata come distinta da una relazione, e quindi la relazione nel suo significato di relazione rientra nel concetto di persona indirettamente [in caso obliquo]. E in base a ciò si può anche dire che il significato del nome persona non era ben conosciuto prima delle critiche degli eretici: perciò non si usava il termine persona se non come uno degli altri nomi assoluti. Invece in seguito, per l’adattabilità del suo significato, il termine persona fu portato a fungere da relativo: per cui questo suo stare per il relativo non l’ebbe solo dall’uso, come voleva la prima opinione, ma anche in forza del suo significato.
Soluzione delle difficoltà:
1. Il termine persona appartiene ai nomi assoluti perché significa la relazione non come relazione, ma come sostanza, ossia ipostasi. E in questo senso S. Agostino dice che significa l’essenza, in quanto in Dio l’essenza è lo stesso che l’ipostasi: poiché in Dio il quod est [il soggetto] non differisce dal quo est [l’essenza o natura].
2. Il quid si riferisce alcune volte alla natura espressa dalla definizione, come quando si domanda: Che cosa è l’uomo?, e si risponde: Un animale razionale mortale. Altre volte però si riferisce al soggetto, come quando si domanda: Che cosa nuota nel mare?, e si risponde: Il pesce. E così a chi chiede: Tre che cosa?, si risponde: Tre persone.
3. Nel concetto di sostanza individuale, cioè distinta e incomunicabile, è inclusa, in Dio, la relazione, come si è detto [nel corpo].
4. Il diverso significato di un termine meno universale non comporta equivocazione nel termine più universale [corrispondente]. Sebbene infatti sia differente la definizione propria del cavallo e dell’asino, tuttavia il nome animale conviene loro univocamente: poiché all’uno e all’altro conviene la definizione comune di animale. Quindi, sebbene nella definizione della persona divina sia contenuta la relazione, e non invece in quella della persona angelica o umana, da ciò non segue che il nome di persona [loro attribuito] sia equivoco. Ma non è neppure univoco: poiché, come si è già detto [q. 13, a. 5], nulla si può predicare univocamente di Dio e delle creature.