Somma Teologica, Parte I, q.75-Natura dell’anima

Somma Teologica, Parte I, Questione 75. La natura dell'anima L’UOMO, CIOÈ L’ESSERE COMPOSTO DI SPIRITO E DI CORPO. PRIMO: LA NATURA DELL’ANIMA
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La natura dell’anima (leggi e se vuoi scarica il pdf)

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    Tommaso d Aquino

Somma Teologica, Parte I, Questione 75

 

L’UOMO, CIOÈ L’ESSERE COMPOSTO DI SPIRITO E DI CORPO. PRIMO: LA NATURA DELL’ANIMA

 

Dopo aver considerato le creature spirituali e quelle materiali, passiamo ora all’uomo, il quale è composto di spirito e di corpo [cf. q. 50, Prol.]. Studieremo prima la sua natura, poi la sua origine [q. 90]. Ora, al teologo spetta di occuparsi della natura dell’uomo dal punto di vista dell’anima, non del corpo, salvo i rapporti che il corpo ha con l’anima. Quindi il primo studio si occuperà dell’anima. E siccome, secondo Dionigi [De cael. hier. 11, 2], si ritrovano tre cose nelle sostanze spirituali, cioè «l’essenza, le facoltà e le attività », studieremo: primo, quanto riguarda l’essenza dell’anima; secondo,quanto riguarda le sue facoltà o potenze [q. 77]; terzo, quanto ha attinenza con la sua attività [q. 84].

Sul primo punto si affacciano due considerazioni: la prima riguarda l’anima in se stessa; la seconda la sua unione con il corpo [q. 76]. Sul primo argomento dunque si pongono sette quesiti:

1. Se l’anima sia un corpo;

2. Se l’anima umana sia qualcosa di sussistente;

3. Se le anime degli animali bruti siano sussistenti;

4. Se l’anima sia l’uomo, o non piuttosto l’uomo

sia un essere composto di anima e di corpo;

5. Se sia composta di materia e di forma;

6. Se l’anima umana sia incorruttibile;

7. Se sia della stessa specie dell’angelo.

 

 

Articolo 1

Se l’anima sia un corpo

 

Sembra che l’anima sia un corpo. Infatti:

1. L’anima è l’elemento motore del corpo. Ma non si può dire che sia un movente non mosso. Sia perché pare che nulla possa imprimere un movimento se non è mosso a sua volta: poiché nessuno dà ciò che non ha, come un oggetto non caldo non riscalda. Sia perché, se esistesse un motore non mosso, causerebbe un movimento sempiterno e uniforme, come prova Aristotele [Phys. 8, cc. 6, 10]: e ciò non si verifica nel movimento dell’animale, che proviene dall’anima. Quindi l’anima è un motore mosso. Ma ogni motore mosso è un corpo. Quindi l’anima è un corpo.

2. Ogni conoscenza avviene mediante una certa somiglianza. Ora, non può darsi che un corpo assomigli a una realtà incorporea. Se quindi l’anima non fosse un corpo non potrebbe conoscere le realtà materiali.

3. È necessario che vi sia qualche contatto tra il motore e la cosa mossa. Ma il contatto non avviene che tra i corpi. Se quindi l’anima muove il corpo deve essere anch’essa un corpo.

 

In contrario: S. Agostino [De Trin. 6, 6] insegna che l’anima «è detta semplice per rispetto al corpo, poiché essa non occupa lo spazio mediante la quantità».

 

Rispondo: Per indagare sulla natura dell’anima bisogna partire dal presupposto che l’anima è il primo principio della vita nei viventi che ci circondano: infatti chiamiamo animati gli esseri viventi, e inanimati quelli che sono privi di vita. La vita poi si manifesta specialmente nella duplice attività della conoscenza e del movimento. Ora gli antichi filosofi, che non riuscivano a elevarsi al disopra dell’immaginazione, ritenevano che il principio di tali attività fosse un corpo, poiché affermavano che i soli corpi sono esseri reali e che fuori di essi non vi è che il nulla. E in base a ciò dicevano che l’anima

non è altro che un corpo. Ora, sebbene si possa mostrare la falsità di tale opinione in molte maniere, tuttavia useremo un solo argomento che, per la sua universalità e certezza, prova come l’anima non sia un corpo. È infatti evidente che non ogni principio di operazioni vitali è un’anima, altrimenti anche l’occhio sarebbe un’anima, essendo principio dell’operazione visiva; e lo stesso potremmo dire degli altri organi dell’anima. Noi invece chiamiamo anima il primo principio della vita. Ora, benché un corpo possa essere in un certo senso principio di vita — il cuore, p. es., è principio di vita nell’animale —, tuttavia un corpo non potrà mai essere primo principio di vita. È infatti manifesto che al corpo, in quanto corpo, non appartiene né di essere principio di vita né di essere vivente: altrimenti ogni corpo sarebbe vivente, o principio di vita. Se dunque un corpo è vivente o principio di vita, ciò dipende dal fatto che esso è tale corpo.

Ora, un essere è attualmente tale in forza di un principio che viene chiamato il suo atto. Quindi l’anima, che è il primo principio della vita, non è un corpo, ma l’atto di un corpo: come il calore, che è il principio del riscaldamento, non è un corpo, ma l’atto [o la perfezione] di un corpo.

 

Soluzione delle difficoltà:

1. Sebbene tutto ciò che si muove sia mosso da altro, non si può tuttavia risalire all’infinito, e quindi è necessario affermare che non ogni movente è mosso. Se infatti il muoversi non è altro che un uscire dalla potenza all’atto, il motore dà al mobile ciò che ha in quanto lo attua. Ora, come prova Aristotele [Phys. 8, 6], esiste un motore del tutto immobile, il quale non si muove né per natura né indirettamente: e un tale motore è capace di imprimere un moto uniforme. Vi sono invece altri motori i quali, pur non essendo soggetti al moto in forza della loro natura, vi sono però soggetti indirettamente: per cui non imprimono un moto sempre uniforme. E l’anima è uno di questi. Vi sono infine altri motori che sono soggetti al moto in forza della loro natura, cioè i corpi. E poiché gli antichi filosofi naturalisti credevano che esistessero solo i corpi, di conseguenza ritenevano che ogni motore fosse mosso, e che l’anima stessa fosse soggetta al moto in forza della sua natura, e fosse un corpo.

2. Non è necessario che la somiglianza della realtà conosciuta si trovi attualmente nella natura del conoscente: se infatti abbiamo un essere che prima è conoscente in potenza e poi in atto, non è necessario che la somiglianza [o immagine rappresentativa] dell’oggetto conosciuto si trovi in atto nella natura del conoscente, ma basta che vi si trovi in potenza; come il colore non è attualmente, ma solo potenzialmente nella pupilla. Non è quindi necessario che le somiglianze delle realtà materiali si trovino attualmente nell’essenza dell’anima, ma che questa sia in potenza a [ricevere] tali somiglianze. Dato però che gli antichi Naturalisti non sapevano distinguere tra l’atto e la potenza, dicevano che l’anima era un corpo proprio perché potesse conoscere i corpi, e che era composta dei princìpi [elementari] di tutti i corpi perché la sua conoscenza si potesse estendere a tutti i corpi.

3. Ci possono essere due specie di contatti: il contatto quantitativo e quello virtuale. Col primo un corpo non può essere toccato che da un corpo. Col secondo un corpo può essere toccato anche da un essere incorporeo, che lo muove.

 

 

Articolo 2

Se l’anima umana sia qualcosa di sussistente

 

Sembra che l’anima umana non sia qualcosa di sussistente. Infatti:

1. Ciò che è sussistente è un hoc aliquid [cioè un ente concreto]. Ora, non l’anima, ma il composto di anima e corpo è un hoc aliquid. Quindi l’anima non è sussistente.

2. Tutto ciò che è sussistente si può dire che opera. Ma non si può affermare che l’anima operi poiché, secondo Aristotele [De anima 1, 4], «dire che l’anima sente o intende è come dire che essa tesse o edifica qualcosa». Quindi l’anima non è un ente sussistente.

3. Se l’anima fosse qualcosa di sussistente, dovrebbe avere una qualche sua attività senza il corpo. Non esiste invece alcuna attività senza il corpo, nemmeno l’intendere, poiché non si dà intellezione senza fantasma, e questo non è possibile senza il corpo. Quindi l’anima umana non è qualcosa di sussistente.

 

In contrario: S. Agostino [De Trin. 10, 7] insegna: «Chiunque vede la natura della mente, cioè come essa sia una sostanza, e per di più non corporea, vede pure che coloro i quali opinano che essa sia corporea sbagliano nell’attribuirle quelle cose senza di cui non possono concepire alcuna natura, cioè le sembianze dei corpi». Quindi la natura della mente umana non solo è immateriale, ma è anche una sostanza, cioè qualcosa di sussistente.

 

Rispondo: Dobbiamo necessariamente affermare che il principio dell’operazione intellettiva, cioè l’anima dell’uomo, è incorporeo e sussistente. Infatti è noto che l’uomo con la sua intelligenza può conoscere la natura di tutti i corpi. Ora, chi ha la facoltà di conoscere delle cose non deve possederne alcuna nella sua natura: poiché quella che fosse insita in lui per natura impedirebbe la conoscenza delle altre; come vediamo che la lingua dell’infermo, quando è infettata di umore bilioso e amaro, non può percepire il dolce, ma tutto le sembra amaro. Se dunque il principio intellettivo avesse in se stesso la natura di qualche corpo, non potrebbe conoscere tutti i corpi. Ma ogni corpo possiede una natura determinata. Quindi è impossibile che il principio intellettivo sia un corpo. Parimenti è impossibile che esso intenda mediante un organo corporeo, poiché anche la natura di quell’organo materiale impedirebbe la conoscenza di tutti i corpi: se infatti un determinato colore, oltre a essere nella pupilla [al momento della conoscenza], è anche nel vaso di vetro, i liquidi in questo versati appariranno [sempre] dello stesso colore. Il principio intellettivo dunque, chiamato mente o intelletto, ha un’attività sua propria, alla quale il corpo non comunica. Ora, nessuna cosa può operare per se stessa se non sussiste per se stessa. L’operazione infatti non compete che all’ente in atto: per cui una cosa opera in conformità al suo modo di esistere. Per cui non diciamo che ciò che riscalda è il calore, ma il corpo caldo. — Rimane dunque dimostrato che l’anima umana, la quale viene chiamata mente o intelletto, è qualcosa di incorporeo e sussistente.

 

Soluzione delle difficoltà:

1. L’espressione hoc aliquid può essere presa in due sensi: per indicare qualunque essere sussistente, oppure per indicare un essere sussistente completo nella natura di una data specie. Preso nel primo modo esclude l’inerenza propria dell’accidente e della forma materiale, mentre nel secondo esclude anche l’imperfezione che ha la parte [rispetto al tutto]. Quindi la mano, p. es., potrà essere detta hoc aliquid nel primo modo, ma non nel secondo. Così dunque, essendo l’anima una parte della specie umana, potrà essere denominata hoc aliquid nel primo modo, essendo dotata di una sua sussistenza, ma non nel secondo. In questo senso infatti [solo] il composto di anima e di corpo viene detto hoc aliquid.

2. Aristotele usa quelle parole per esprimere non il suo parere, ma quello di chi diceva che l’intendere è un moto, come risulta dal contesto. Oppure si può rispondere che l’operazione appartiene propriamente a ciò che esiste propriamente. Ora, talvolta si può dire che una cosa esiste propriamente quando, senza essere un accidente o una forma corporea, è tuttavia parte [di un tutto]. Si dice però che una cosa è a tutto rigore e propriamente sussistente quando non solo non è inerente a un soggetto nel modo suddetto, ma non è neppure parte [di un tutto]. E sotto questo punto di vista né l’occhio né la mano possono essere detti propriamente sussistenti, e per conseguenza nemmeno propriamente operanti. Per cui anche le operazioni delle parti vengono attribuite al tutto. Infatti diciamo che è l’uomo che vede mediante l’occhio e palpa mediante la mano, non però come un oggetto caldo riscalda mediante il calore: poiché il calore, propriamente parlando, non riscalda in alcun modo. Si può quindi affermare che l’anima intende come l’occhio vede; ma in senso rigoroso è meglio dire che è l’uomo a intendere mediante l’anima.

3. Perché l’intelletto agisca si richiede il corpo non come un organo necessario per esercitare una tale azione, ma a motivo dell’oggetto: infatti l’immagine fantastica sta all’intelletto come il colore alla vista. Ma l’avere bisogno del corpo in questo modo non esclude che l’intelletto sia sussistente: altrimenti anche l’animale non sarebbe un ente sussistente dal momento che ha bisogno delle realtà esteriori sensibili per sentire.

 

 

 

Articolo 3

Se le anime degli animali bruti siano sussistenti

 

Sembra che le anime degli animali bruti siano sussistenti. Infatti:

1. L’uomo ha in comune il genere con gli altri animali. Ma abbiamo visto che l’anima dell’uomo è qualcosa di sussistente. Quindi anche le anime degli altri animali sono sussistenti.

2. I sensi stanno alle realtà sensibili come l’intelletto sta a quelle intelligibili. Ora, l’intelletto intende gli intelligibili senza il corpo. Quindi anche il senso percepisce i sensibili senza il corpo. Ma le anime degli animali bruti sono sensitive. Quindi sono sussistenti, a pari titolo dell’anima dell’uomo, che è intellettiva.

3. L’anima degli animali bruti muove il corpo. Ora, il corpo non muove, ma è mosso. Quindi l’anima dell’animale bruto ha una qualche attività senza il corpo.

 

In contrario: Sta scritto nel libro De Ecclesiasticis Dogmatibus [cc. 16, 17]: «Crediamo che solo l’uomo abbia un’anima sussistente, mentre non sono tali le anime degli animali».

 

Rispondo: Gli antichi filosofi non ammisero distinzione alcuna tra il senso e l’intelletto, attribuendoli ambedue a un principio materiale, come si è detto [a. 1; cf. q. 50, a. 1]. Platone invece li distinse, ma attribuì sia l’uno che l’altro a un principio incorporeo, ritenendo che tanto l’intendere quanto il sentire appartenessero all’anima come tale. Ne veniva così che anche le anime degli animali sarebbero state sussistenti. Aristotele [De anima 3, 4] infine stabilì che solo l’intendere, tra le operazioni dell’anima, si svolge senza un organo corporeo. Il sentire invece, e tutte le conseguenti operazioni dell’anima sensitiva, sono manifestamente accompagnate da un’alterazione del corpo: nella vista, p. es., si ha un’alterazione della pupilla per l’impressione del colore; e così nelle altre sensazioni. È perciò evidente che l’anima sensitiva non ha un’operazione esclusivamente sua, ma ogni attività dell’anima sensitiva appartiene al composto [di anima e corpo]. Ne segue perciò che le anime degli animali, non avendo la capacità di agire indipendentemente [dal corpo], non sono sussistenti: poiché in ogni ente vi è corrispondenza fra l’essere e l’operare.

 

Soluzione delle difficoltà:

1. Sebbene l’uomo abbia in comune il genere con gli altri animali, tuttavia ne differisce nella specie; e la differenza di specie deriva dalla differenza di forma. Poiché non tutte le differenze nella forma portano necessariamente a una diversità anche nel genere.

2. In un certo modo è vero che il senso sta alle realtà sensibili come l’intelletto sta a quelle intelligibili, in quanto ambedue sono in potenza ai rispettivi oggetti. Vi è però anche una certa dissomiglianza, poiché il senso riceve l’oggetto sensibile in forza di un’alterazione fisica: per cui gli oggetti sensibili troppo forti guastano i sensi. Ciò invece non accade nell’intelletto: infatti questo nell’intendere le più grandi verità di ordine intellettivo acquista maggiore capacità a intendere le minori. — Che poi nel lavoro intellettuale il corpo provi fatica dipende accidentalmente dal fatto che l’intelligenza necessita delle facoltà sensitive, dalle quali le vengono approntati i fantasmi.

3. Sono due le facoltà di moto. La prima, che è la facoltà appetitiva, comanda il movimento. E il funzionamento di questa nell’anima sensitiva non avviene senza il corpo, ma l’ira, la gioia e simili passioni si presentano sempre con una qualche alterazione del corpo. L’altra facoltà di moto è quella che esegue il movimento: essa rende le membra docili alla mozione dell’appetito, e il suo atto non è il muovere, ma l’essere mosso. È perciò evidente che il moto non è un atto incorporeo dell’anima sensitiva.

 

 

Articolo 4

Se l’anima sia l’uomo

 

Sembra che l’anima non sia altro che l’uomo. Infatti:

1. Sta scritto [2 Cor 4, 16]: «Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, l’uomo interiore si rinnova di giorno in giorno». Ma ciò che è dentro l’uomo è l’anima. Quindi l’anima è l’uomo interiore.

2. L’anima umana è una sostanza. Ma non è una sostanza universale. Quindi è una sostanza particolare. Dunque è un’ipostasi o persona, e persona umana. Quindi l’anima non è altro che l’uomo, poiché la persona umana è l’uomo.

 

In contrario: S. Agostino [De civ. Dei 19, 3] loda Varrone, il quale pensava che «l’uomo non è né l’anima sola, né il corpo solo, ma l’insieme dell’anima e del corpo».

 

Rispondo: Possiamo intendere in due modi l’affermazione: «l’anima è l’uomo ». Primo, nel senso che l’uomo [in generale] sia l’anima; non però questo dato uomo, Socrate p. es., poiché egli è composto di anima e di corpo. E dico questo perché alcuni ritenevano che la sola forma rientrasse nell’essenza della specie, mentre la materia sarebbe stata una parte dell’individuo, non della specie. — Ma ciò non può essere vero. Infatti la natura della specie abbraccia tutto ciò che è contenuto nella definizione. Ora, negli esseri corporei la definizione non indica solo la forma, ma la forma e la materia insieme. La materia quindi è un componente della specie negli esseri corporei: non dico la materia [concreta e] quanta, che è principio di individuazione, ma la materia in generale. Poiché come nel concetto di quest’uomo particolare è incluso che egli possiede quest’anima, queste carni e queste ossa, così nel concetto universale di uomo rientra che egli ha un’anima, delle carni e delle ossa. È infatti necessario che l’essenza della specie abbracci tutto ciò che è comune a tutti gli individui contenuti nella specie. Secondo, [la frase suddetta] può anche essere intesa nel senso che questa anima sia questo uomo. E una tale interpretazione potrebbe sostenersi se si ammettesse che l’anima sensitiva compie le sue operazioni senza il corpo: poiché in tal caso tutte quelle operazioni che vengono attribuite all’uomo sarebbero esclusivamente dell’anima, dato che ogni cosa si identifica con il soggetto che svolge le operazioni della medesima. Quindi l’uomo sarà quel soggetto che svolge le operazioni dell’uomo. Ma noi abbiamo già dimostrato [a. 3] che il sentire non è un’operazione dell’anima soltanto. Essendo dunque il sentire un’operazione dell’uomo, sebbene non sia la sua operazione propria e specifica, è chiaro che l’uomo non è soltanto anima, ma un insieme che risulta composto di anima e di corpo. — Platone invece, poiché riteneva che il sentire fosse un’operazione della sola anima, poteva affermare che l’uomo è «un’anima che si serve del corpo».

 

Soluzione delle difficoltà:

1. Come osserva il Filosofo [Ethic. 9, 8], ogni cosa pare che si identifichi con il suo elemento principale: per cui si attribuisce alla città ciò che viene fatto dal suo capo. E in questo senso talora viene chiamato uomo ciò che è principale in lui, e cioè: a volte, con ragione, la parte intellettiva, che viene denominata uomo interiore; a volte invece, secondo l’opinione di chi è immerso nelle realtà sensibili, la parte sensitiva insieme con il corpo. E questa viene chiamata uomo esteriore.

2. Non ogni sostanza particolare è ipostasi o persona, ma solo quella che possiede la natura completa della specie. Quindi la mano o il piede non possono dirsi ipostasi o persona. E così neppure l’anima, che è solo una parte della specie umana.

 

 

Articolo 5

Se l’anima sia composta di materia e di forma

 

Sembra che l’anima sia composta di materia e di forma. Infatti:

1. La potenza si contraddistingue dall’atto. Ora, tutti gli enti che sono in atto partecipano il primo atto, che è Dio: poiché essi sono buoni, enti e viventi per una sua partecipazione, come insegna Dionigi [De div. nom. 5]. Quindi allo stesso modo tutti gli enti in potenza partecipano la potenza prima. Ma la potenza prima è la materia prima. Essendo quindi l’anima umana in qualche modo in potenza, come appare dal fatto che l’uomo talora è solo potenzialmente conoscente, sembra che l’anima umana partecipi la materia prima come sua parte.

2. Dovunque si trovino le proprietà della materia, ivi è la materia. Ora, nell’anima si trovano le proprietà della materia, che sono il fare da soggetto [a una forma] e il subire trasmutazioni: l’anima infatti è il soggetto della scienza e della virtù, e può passare dall’ignoranza alla scienza, dal vizio alla virtù. Quindi nell’anima ci deve essere la materia.

3. Le cose prive di materia non hanno una causa del proprio essere, come afferma Aristotele [Met. 8, 6]. Ma l’anima ha una causa del suo essere, essendo creata da Dio. Quindi in essa ci deve essere la materia.

4. Ciò che non è materia, ma è solo forma, è atto puro e infinito. Ma ciò spetta soltanto a Dio. Quindi nell’anima non può mancare la materia.

 

In contrario: S. Agostino [De Gen. ad litt. 7, cc. 7-9] dimostra che l’anima non è fatta né di materia corporea, né di materia spirituale.

 

Rispondo: L’anima non ha materia. E questo lo possiamo desumere da due considerazioni. La prima parte dal concetto generico e universale di anima. Infatti è proprio della natura dell’anima essere la forma di un corpo. Ora, essa sarà forma o totalmente o per una sua parte. Se totalmente, allora è impossibile che una sua parte sia materia, se per materia intendiamo un ente che sia solo in potenza: infatti la forma, in quanto forma, è atto, e ciò che esiste solo in potenza non può essere parte dell’atto, essendo la potenza incompatibile con l’atto, che è il suo contrario. Se invece l’anima è forma [di un corpo] per una sua parte, chiameremo anima quella parte, e chiameremo primo animato quella materia di cui essa è l’atto primo. La seconda considerazione parte dal carattere specifico dell’anima umana, cioè dal suo essere intellettiva. È infatti evidente che quanto viene ricevuto in un soggetto è ricevuto in conformità alla natura del ricevente. D’altra parte ogni oggetto è conosciuto secondo il modo in cui la sua forma si trova nel soggetto conoscente. Ora, l’anima intellettiva conosce alcuni oggetti nella loro natura universale e assoluta, p. es. la pietra in quanto è pietra, nella sua assolutezza. Vi è dunque nell’anima intellettiva la forma della pietra nella sua assolutezza, secondo la sua ragione formale. Quindi l’anima intellettiva è una forma assoluta, non già un composto di materia e di forma. — Se infatti l’anima intellettiva fosse composta di materia e di forma, le forme delle cose sarebbero ricevute in essa nella loro individualità; e così essa conoscerebbe le cose soltanto nella loro singolarità, come avviene nelle potenze sensitive, che ricevono le forme delle cose in un organo corporeo: la materia infatti è il principio di individuazione delle forme. Rimane dunque che l’anima intellettiva, e ogni sostanza intellettuale che conosca le forme nella loro assolutezza, non è composta di materia e di forma.

 

Soluzione delle difficoltà:

1. L’atto primo è il principio universale di tutti gli atti, perché essendo infinito «contiene in sé virtualmente tutte le cose», come dice Dionigi [De div. nom. 5]. È quindi partecipato dalle cose non dividendo se stesso in parti, ma mediante l’esercizio della sua causalità. Invece la potenza deve essere proporzionata all’atto, essendo ricettiva dell’atto. Ma gli atti ricevuti, che procedono dal primo atto infinito e sono in certo modo partecipazioni di esso, sono diversi tra loro. Non può quindi esistere una potenza capace di ricevere tutti gli atti, come invece esiste un atto unico il quale causa tutti gli atti partecipati: altrimenti quella potenza ricettiva adeguerebbe la potenza attiva del primo atto. Ora, nell’anima intellettiva vi è una potenza ricettiva che è ben diversa dalla potenza ricettiva della materia prima, come si rileva dalla diversità delle cose ricevute: infatti la materia prima riceve le forme individuali, mentre l’intelletto riceve le forme assolute. Quindi l’esistenza di tale potenza nell’anima intellettiva non prova che l’anima sia composta di materia e di forma.

2. Fare da soggetto e subire trasmutazioni appartiene alla materia in quanto è in potenza. Come dunque la potenza dell’intelletto è diversa da quella della materia prima [cf. ad 1], così è diversa la natura delle due funzioni suddette. L’intelletto infatti è il soggetto della scienza, e si trasmuta dall’ignoranza alla conoscenza in quanto è in potenza alle specie intelligibili.

3. La forma causa e determina l’essere della materia: infatti l’agente, in quanto riduce la materia all’atto della forma mediante il processo di trasmutazione, ne causa l’essere. Ma se una cosa è una forma sussistente non riceve l’essere da un principio formale, e neppure ha una causa che la muti dalla potenza all’atto. Quindi il Filosofo, dopo le parole riportate, conclude dicendo che negli esseri composti di materia e di forma «non si trova altra causa oltre a quella che muove dalla potenza all’atto; invece in quelli che sono privi di materia tutta la natura è un’entità semplice».

4. Ogni partecipato si rapporta al partecipante come suo atto. Ora, è necessario che tutte le forme create sussistenti per se stesse partecipino l’essere: poiché anche «la vita in se stessa», o qualunque altra entità assoluta «partecipa l’essere», come scrive Dionigi [De div. nom. 5, 9]. Ma l’essere partecipato è limitato alla capacità del partecipante. Quindi Dio solo, che è lo stesso suo essere, è un atto puro e infinito. Nelle sostanze intellettuali invece si ha composizione di atto e di potenza: non già di materia e di forma, ma di forma e di essere partecipato. Quindi alcuni dicono che esse risultano composte di quo

est [ciò per cui la cosa è] e di quod est [ciò che è]: infatti l’essere è ciò per cui [id quo] una cosa esiste.

 

 

Articolo 6

Se l’anima umana sia corruttibile

 

Sembra che l’anima umana sia corruttibile. Infatti:

1. Gli esseri che hanno un uguale principio e un uguale processo devono avere uguale anche la fine. Ora, uguale è il principio della generazione sia degli uomini che dei giumenti, essendo ambedue tratti dalla terra. E così pure il processo vitale è analogo: poiché, come dice l’Ecclesiaste [Qo 3, 19], «c’è un solo soffio vitale per tutti. Non esiste superiorità dell’uomo rispetto alle bestie». Quindi, conclude, «la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa». Essendo dunque l’anima degli animali corruttibile, lo sarà anche quella dell’uomo.

2. Tutto ciò che viene dal nulla deve tornare al nulla, poiché la fine deve corrispondere al principio. Ma sta scritto [Sap 2, 2 Vg] che «noi siamo nati dal nulla»: il che è vero non solo quanto al corpo, ma anche quanto all’anima. Quindi anche rispetto all’anima la Scrittura [ib.] conclude: «e dopo saremo come se non fossimo stati».

3. Non esiste cosa alcuna senza una propria attività. Ma l’attività dell’anima, che è l’intellezione mediante il fantasma, non può verificarsi senza il corpo: infatti l’anima non intende nulla senza il fantasma, e questo, d’altra parte, suppone il corpo, come insegna Aristotele [De anima 1, 1]. Quindi, distrutto il corpo, l’anima non può continuare a esistere.

 

In contrario: Dionigi [De div. nom. 4] afferma che le anime umane hanno dalla bontà divina di essere «dotate di intelligenza» e di possedere «una sostanziale vita inesauribile».

 

Rispondo: È necessario affermare che l’anima umana, cioè il principio intellettivo, è incorruttibile. Infatti la corruzione di una cosa avviene in due modi: direttamente [per se] e indirettamente [per accidens]. Ora, non è possibile che un essere sussistente nasca o perisca in maniera indiretta, cioè in forza della generazione o della corruzione di un altro essere. Infatti la generazione e la corruzione competono a una cosa nella stessa maniera in cui le compete l’essere, il quale è acquistato con la generazione ed è perduto con la corruzione. Per conseguenza ciò che direttamente possiede l’essere non può soggiacere alla generazione e alla corruzione altro che direttamente; al contrario gli esseri non sussistenti, come gli accidenti e le forme materiali, si dice che nascono e periscono in seguito alla generazione e alla corruzione del composto [in cui si trovano]. Ora, abbiamo visto [aa. 2, 3] che le anime dei bruti non sono direttamente sussistenti, ma lo è soltanto l’anima umana. Quindi le loro anime periscono con la distruzione del corpo, mentre l’anima umana non potrebbe perire se non mediante la propria diretta distruzione. Ciò però è impossibile non solo per essa, ma per ogni ente sussistente che sia soltanto forma. Infatti è chiaro che quanto direttamente [per se] compete a un essere, è da esso inseparabile. Ora, l’essere compete direttamente alla forma, la quale è atto. Per cui la materia acquista l’essere in atto acquistando la forma, e la corruzione si verifica in essa appunto perché la forma viene a separarsi da essa. Ora, è impossibile che una forma si separi da se stessa. È dunque impossibile che una forma sussistente cessi di esistere. Ma anche ammettendo che l’anima fosse composta di materia e di forma, come dicono alcuni, bisognerebbe sempre ritenerla incorruttibile. Infatti non si trova corruzione se non là dove si trova contrarietà: poiché i processi di generazione e corruzione provengono da elementi contrari e tendono a termini contrari — per cui i corpi celesti, non avendo una materia soggetta a contrarietà, sono incorruttibili —. Ma non vi può essere contrarietà alcuna nell’anima intellettiva. Le sue percezioni infatti, che avvengono secondo il modo del suo essere, sono prive di contrarietà: per cui anche le nozioni dei contrari non sono tra loro contrarie nell’intelletto, anzi, è unica la scienza dei contrari. Non è dunque possibile che l’anima intellettiva sia corruttibile. E una riprova di questa verità può vedersi nel fatto che ogni essere desidera naturalmente di esistere nel modo ad esso conveniente. Ma negli esseri dotati di conoscenza il desiderio segue la conoscenza. Ora, mentre i sensi conoscono l’essere soltanto nelle circostanze particolari di luogo e di tempo, l’intelletto percepisce l’essere su un piano assoluto e rispetto a ogni tempo. Per cui ogni essere dotato di intelletto desidera naturalmente di esistere sempre. Ma un desiderio naturale non può essere vano. Quindi ogni sostanza intellettuale è incorruttibile.

 

Soluzione delle difficoltà:

1. Salomone fa quell’affermazione a nome degli stolti, com’è detto espressamente altrove [Sap 2, 1 e 21]. Dire dunque che l’uomo e gli altri animali nella loro generazione hanno un uguale principio è vero quanto al corpo: infatti tutti gli animali sono ugualmente tratti dalla terra. Non è però vero quanto all’anima: poiché l’anima dei bruti è prodotta da una potenza corporea, mentre l’anima umana viene da Dio. Per questo nella Scrittura [Gen 1, 24] è detto riguardo agli altri animali: «La terra produca esseri viventi», mentre per l’uomo si dice che Dio «soffiò nelle sue narici un alito di vita» [ib. 2, 7]. Quindi altrove [Qo 12, 7] si conclude: «Ritorni la polvere alla terra, com’era prima, e lo spirito torni a Dio, che l’ha dato». — Parimenti, il processo vitale è simile quanto al corpo, al quale si riferiscono quei testi: «C’è un soffio vitale per tutti» [Qo 3, 19], «è un fumo il soffio delle nostre narici» [Sap 2, 2], ecc., però il processo non è uguale quanto all’anima: poiché l’uomo ha l’intelligenza, e non invece gli animali. È quindi falsa l’affermazione: «Non esiste superiorità dell’uomo riguardo alle bestie». Se dunque la fine è simile quanto al corpo, non lo è però quanto all’anima.

2. Come si dice che una cosa può essere creata non per la potenza passiva, ma per la sola potenza attiva del Creatore, il quale può produrre una cosa dal nulla, così quando si dice che una cosa può essere annichilata non si vuole includere nella creatura una potenza al non essere, ma attribuire al Creatore la potenza a non comunicare più l’essere. Si dice invece che una cosa è corruttibile quando ha in se stessa la potenza al non essere.

3. L’intellezione accompagnata dal fantasma è un’operazione propria dell’anima in quanto unita al corpo. Se invece l’anima è separata avrà un altro modo di intendere, simile a quello delle altre sostanze che sono separate dal corpo, come vedremo meglio in seguito [q. 89, a. 1].

 

 

Articolo 7

Se l’anima e l’angelo siano di una medesima specie

 

Sembra che l’anima e l’angelo siano di una medesima specie. Infatti:

1. Ogni essere è indirizzato al suo fine mediante la natura della sua specie, da cui trae la tendenza al fine. Ma è identico il fine dell’anima e dell’angelo, cioè la felicità eterna. Quindi essi sono di una medesima specie.

2. L’ultima differenza specifica è la più nobile, poiché completa l’essenza della specie. Ma nulla è più nobile che avere l’intelligenza, sia per l’angelo che per l’anima. Quindi l’anima e l’angelo hanno in comune l’ultima differenza specifica. Sono quindi di una medesima specie.

3. L’anima non differisce dall’angelo se non per il fatto di essere unita a un corpo. Ma il corpo, essendo fuori dell’essenza dell’anima, non può appartenere alla specie dell’anima. Quindi l’anima e l’angelo rientrano nella stessa specie.

 

In contrario: Gli esseri che hanno attività naturali diverse differiscono nella specie. Ma nell’anima e nell’angelo vi sono attività naturali diverse: poiché Dionigi [De div. nom. 7] insegna che «le menti angeliche hanno intelletti semplici e beati, che non raccolgono la conoscenza divina dal mondo visibile »; per l’anima invece afferma il contrario. Pertanto l’anima e l’angelo non sono della stessa specie.

 

Rispondo: Origene [Peri Arch. 3, 5] riteneva che le anime umane e gli angeli fossero della medesima specie. E ciò perché supponeva [ib. 1, cc. 6, 8; 2, cc. 1, 9; 3, c. 5] che la diversità di grado esistente tra queste sostanze fosse accidentale, essendo derivata dal loro libero arbitrio, come già si disse [q. 47, a. 2]. Ma tale ipotesi è insostenibile, poiché nelle sostanze incorporee non si dà diversità numerica senza una diversità specifica e senza una disuguaglianza di natura. Se infatti non sono composte di materia e di forma, ma sono forme sussistenti, è evidente che avranno una diversità di specie. Non si può infatti ammettere una forma separata che non sia unica nella sua specie: come se esistesse una bianchezza separata non potrebbe essere che una sola, poiché una bianchezza concreta non differisce da un’altra se non per il fatto di appartenere a questo o a quel soggetto. Ma la diversità di specie è sempre accompagnata da una diversità di natura, come nelle specie dei colori l’uno è più perfetto dell’altro, e così in altri campi. E tutto ciò avviene perché le differenze, che suddividono il genere [in tante specie], sono contrarie fra loro, e i contrari si contrappongono l’uno all’altro come il perfetto all’imperfetto, poiché «il principio della contrarietà è la privazione e il possesso [di una data perfezione]», come dice Aristotele [Met. 10, 4]. E si avrebbe la stessa conseguenza se tali sostanze fossero composte di materia e di forma. Se infatti la materia di una cosa si distingue dalla materia di un’altra, è necessario che la forma sia il principio distintivo della materia, cioè che le varie materie siano diverse in rapporto alle diverse forme: e così ci sarà ancora diversità di specie e disuguaglianza naturale [tra quelle sostanze]. Oppure la materia sarà direttamente il principio distintivo delle forme: ma in tal caso non si potrà parlare di diverse materie se non in rapporto alla quantità. Ora questa, nelle sostanze spirituali come l’angelo e l’anima, non esiste. Quindi non può essere che l’angelo e l’anima siano di un’unica specie. — Mostreremo poi in seguito [q. 76, a. 2, ad 1] come si possano dare più anime della medesima specie.

 

Soluzione delle difficoltà:

1. La difficoltà parte dal fine prossimo e naturale, mentre la felicità eterna è il fine ultimo e soprannaturale.

2. L’ultima differenza specifica è la più nobile in quanto è sommamente determinata, al modo stesso in cui l’atto è più nobile della potenza. Così dunque avere la facoltà intellettiva, di per sé, non è la differenza più nobile, essendo qualcosa di indeterminato e di comune ai molti gradi degli esseri intellettivi, come la sensibilità rispetto ai suoi molteplici gradi. Per cui, come non tutti gli esseri sensibili appartengono a un’unica specie, così nemmeno gli esseri intelligenti.

3. Il corpo non fa parte dell’essenza dell’anima, ma l’anima deve alla natura della sua essenza di essere unibile al corpo. Parlando quindi in senso proprio non l’anima, ma il composto fa parte della specie. Il fatto stesso poi che l’anima abbia in qualche maniera bisogno del corpo per la sua operazione mostra come essa si trovi in un grado di intellettualità inferiore rispetto all’angelo, il quale non è unito a un corpo.

 

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